Il modello educativo corradiniano e la Sicilia

La diffusione dei Collegi di Maria in Sicilia nel corso del XVIII secolo è da collegare alla straordinaria fortuna incontrata nell’isola dal modello di convitto o conservatorio femminile elaborato dal cardinale Corradini e da lui sperimentato nella nativa Sezze a partire dal 1717. Era il modello - mutuato, in parte, da coeve esperienze laziali delle “maestre pie” - di un conservatorio affidato alle cure di una comunità di religiose che ne assicurasse lo stabile funzionamento: un modello, dunque, che fondeva vita religiosa ed insegnamento popolare. In questo senso l’esperimento corradiniano rappresenta anche un interessante esempio, già nella prima metà del XVIII secolo, di superamento della concezione rigorosamente claustrale della vita consacrata femminile e di introduzione in essa della dimensione apostolica attiva.
Il modello carismatico corradiniano fu introdotto in Sicilia a partire dal 1721.
I collegi siciliani apportarono alcuni adattamenti alla regola del fondatore: uno dei più sostanziali riguardò la clausura delle religiose-maestre, che in Sicilia fu conservata in forma più rigorosa di quella piuttosto blanda che Corradini aveva previsto per Sezze al fine di favorire l’apostolato attivo; c’era, infatti, nell’isola, il timore che una prassi più liberale potesse favorire abusi e, soprattutto, indurre le famiglie, preoccupate del loro buon nome, a scoraggiare le vocazioni delle loro figlie alla vita consacrata in monasteri, quali appunto i Collegi di Maria, in cui fossero previsti - come nella regola corradiniana di Sezze - frequenti rapporti delle suore con parenti d’ambo i sessi fino al quarto grado e addirittura periodiche passeggiate in campagna con la partecipazione del direttore ecclesiastico.
Tre fattori favorirono principalmente la diffusione dei collegi corradiniani in Sicilia.
Il primo può essere indicato nel grande slancio pastorale, con venature riformiste, che la Chiesa di Sicilia visse nel XVIII secolo, specialmente tra il 1730 e il 1760 e particolarmente ad opera di talune esemplari figure di vescovi e di preti. E’ significativo che nella fondazione dei primi collegi l’iniziativa sia stata presa, prevalentemente, da rappresentanti del clero secolare che si distinguevano anche come missionari popolari nei paesi dell’interno e come parroci nelle città più popolose.
Il secondo fattore che favori la diffusione dei collegi di Maria, specialmente nell’interno della Sicilia, fu, fino all’abolizione della feudalità decretata nel 1812, la consuetudine dei signori dei comuni non demaniali di provvedere direttamente all’istruzione elementare nelle loro terre. In diversi casi essi assolsero al loro dovere verso le fanciulle delle famiglie che desideravano farle istruire con la fondazione di un Collegio di Maria, dotato di rendite più o meno consistenti. In cambio della dotazione patrimoniale i feudatari conservavano per sé e i loro eredi il diritto di patronato consistente in una partecipazione o sorveglianza dell’amministrazione del collegio, la cui titolarità era però della superiora delle religiose-maestre, assistita da un ecclesiastico e sottoposta al controllo dell’ordinario diocesano.
Il terzo fattore che favorì la diffusione dei collegi fu il loro carattere municipale. Ciascun collegio era autonomo, non dipendeva da un altro collegio più importante o da una superiora generale; era al servizio delle fanciulle del comune in cui aveva sede e reclutava vocazioni del posto; questo stretto legame tra collegio e città si coniugava bene con quella dimensione municipalista che la storiografia più avvertita ha indicato come uno dei caratteri più importanti del cattolicesimo ancien régime siciliano: il Collegio di Maria era considerato un’istituzione municipale, con una dimensione pubblica religioso-civile e, in quanto tale, rappresentava un vanto per la comunità cittadina, che si impegnava - nelle persone del signore feudale e/o di agiati benefattori laici ed ecclesiastici - a sostenerne finanziariamente l’attività.
Benché finalizzati ad un compito civile di formazione e di istruzione elementare, i Collegi di Maria avevano una struttura religiosa erano comunità di donne consacrate a Dio secondo i consigli evangelici e la loro stessa finalità educativa muoveva da istanze pastorali e caritative di formazione religiosa e di assistenza dell’infanzia.
Il compito educativo però faceva parte integrante ed anzi “principale” della vocazione religiosa delle Suore Collegine.
Una caratteristica importante del metodo d’insegnamento suggerito dalla regola corradiniana è il coinvolgimento delle stesse alunne nel processo pedagogico: le più sveglie venivano incaricate dalle maestre di compiti di ripetizione, controllo e aiuto verso le più lente nell’apprendimento. Si aggiunga che le suore-maestre più giovani e più inesperte erano avviate all’insegnamento dalle suore più anziane e più preparate, che affidavano loro inizialmente dei compiti limitati. Era insomma messo in atto, sia per le alunne, un coinvolgimento pedagogico che preludeva, in questo campo, a riforme che in Sicilia conobbero poi grande fortuna: il metodo cosiddetto “normale” propugnato dal De Cosmi nella seconda metà del XVIII secolo - che sostituiva all’insegnamento individualizzato quello comune - e il metodo cosiddetto “mutuo” o “lancasteriano” che sollecitava l’attivo coinvolgimento dei discenti nel processo pedagogico.
La fortuna del modello corradiniano di Collegio di Maria in Sicilia fu grande; rapidamente fu adottato in diverse diocesi dell’isola: alla fine del Settecento si contavano in Sicilia circa 120 collegi che seguivano la regola e vivevano la spiritualità di Corradini. L’area di maggiore diffusione fu quella centro-occidentale, in particolare le diocesi di Girgenti, Monreale e Palermo.

© 2019 Design by Canale 55